Premessa storica
Buccheri, Palazzolo, Chiaramonte,
e in parte Buscemi, sono i paesi iblei nei quali è continuata, da
epoche antichissime e fino agli anni '50 del '900, la raccolta, la
conservazione e la commercializzazione della neve. Si trattava di
un'attività che consentiva alla cittadinanza, disoccupata nei
periodi invernali, di integrare il magro reddito e ai padroni o
affittuari delle neviere di ricavare consistenti guadagni nei mesi
estivi. Della neve, divenuta ghiaccio, si faceva largo uso nel
Seicento, quando mista ad acqua e sciroppi di menta o limone serviva
a lenire le calure estive sotto forma di squisiti sorbetti. Il
ghiaccio era un ottimo rimedio in alcune malattie con febbri alte
per le quali i medici prescrivevano "la cura di lu friddu". A
Buccheri in particolare si trovano le neviere più antiche. Qui le
prime neviere erano scavate dall'uomo nel girminu, roccia lavica
tipica del territorio buccherese. Ancora oggi le neviere vengono
indicate col nome di rutti (grotte), proprio perché le prime neviere,
abbastanza piccole, erano delle grotte e servivano a conservare neve
per usi abbastanza ristretti. Le neviere di Buccheri sono scavate
agli inizi di un pendio degradante a nord. In questo lato si apre la
porticina, che veniva aperta quando si doveva estrarre la neve.
Nella parte interna di questa porticina sopra l'architrave sono due
robuste mensole che sorreggono il palo cui si aggancia la carrucola.
Il pendio dava la possibilità agli uomini di salire sulla cupola
della neviera e scaricare la neve senza eccessiva fatica. Un
elemento era comune a tutte le neviere: il fondamentale canale di
scolo delle acque sciolte, che drenava la neviera e impediva il
dilavamento del ghiaccio. Questo condotto era scavato al centro
della suolo di base ed era in pendenza in modo da favorire il
naturale deflusso.
Tipologia
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